studio report #3

Sono le 2:38 di giovedì 25 febbraio, sorseggio un brandy appena decente e ascolto in cuffia i miei nuovi idoli, i Low Anthem (sì, lo so, ve ne ho già parlato).

L’introduzione qui sopra è solo perché i grandi della letteratura ci hanno insegnato che per raccontare una qualsiasi storia è sempre necessaria una cornice, cioè la descrizione concreta o psicologica del mondo nel quale si agitano le vite dei nostri protagonisti.

Succede tutto sempre per caso. È per questo motivo che oggi è stato sufficiente girare a destra nel punto e nel momento sbagliati per trovarmi imbottigliato nella caotica e chiassosa massa di automobili che si dirigevano verso lo stadio per inter chelsea.

Comunque, quello che importa è quello che è successo prima – cioè la quasi ultima giornata di studio per le sovraincisioni. Quasi ultima perché la fine è sempre a portata dello sguardo, ma sempre piuttosto lontana dalla gamba che porta il passo.

Non c’è niente di tanto frustrante quanto favoloso delle giornate di lavoro in studio. Frustrante perché è così: si cerca di avvicinarsi a un sentimento primigenio, a un’astrazione, un’intuizione impalpabile. Ci sono molte variabili, soprattutto per quanto riguarda la registrazione delle chitarre: a volte la parte che stai registrando è giusta per la canzone ma il suono non è quello adatto; altre volte invece accade che il suono è quello giusto ma la parte non funziona proprio; altre volte ancora né la parte né il suono vanno bene. Pochissime volte imbecchi fin dalla prima take il suono giusto, la parte giusta, l’atmosfera giusta – peccato solo che sei incespicato su quel passaggio subito dopo il riff sul si minore, ma chi se ne frega, è tutto talmente bello che l’errore ce lo lascio dentro.

Io non sono propriamente un feticista – non sono il prototipo dell’indie rocker nerd e occhialuto che possiede 69 pedalini e vi stupisce con affermazioni del tipo: “io passerei nell’hyperfuzz dopo essere entrato nell’octaver che entra a sua volta nel multipledelay, proprio come fecero i pixies in un brano dell’86 che però non è mai finito su nessun disco”. Detto questo, io sono invece un amante delle chitarre, e in questo disco ci sarà una varietà di strumenti diversi come mai è accaduto prima. Facendo un ripasso mentale posso affermare che per La superficie delle cose, tutte le chitarre sono Tele passate in un favoloso bassman di Lenci. Una vita nuova vede accanto alla Tele una splendidissima Les Paul Gold Top. A questo giro non mi sono fatto mancare niente, e accanto alla Tele figurano una Gibson 335, una De Armond e una Gretsch. Quest’ultima con tanto di leva Bigsby, della quale – novello royorbison – mi sono innamorato e, sì, incredibile, sul disco ci sono delle parti suonate con la leva del vibrato [la cosa più bella della vita è cambiare idea, soprattutto se lo si fa a ragion veduta].

Insomma, tutto questo per dire che anche questo viaggio si avvia alla sua conclusione – o al suo effettivo inizio. Sto cominciando a realizzare che questo prossimo disco chiuderà la mia trilogia sulla ‘mia-personale-visione-del-rock’n’roll’. Poi passerò al liscio.

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