Diario del Tour: Catania, 4/2; Palermo, 5/2

Avevo visto le foto online dei lavori fatti al Teatro Coppola ma entrarci e vederlo dal vivo fa tutto un altro effetto. Il Teatro risale al 1821. Ha subito il bombardamento americano durante la seconda guerra mondiale. È intitolato al compositore catanese Pietro Coppola, che ottenne il successo grazie a Nina pazza per amore, un’opera composta per il Teatro Valle di Roma – Cesare Basile mi fa notare gli involontari collegamenti dei fatti storici (anche il Valle è oggetto di un bell’esperimento di gestione autonoma). Prima della serata si teme scarsa affluenza a causa dei contemporanei festeggiamenti di Sant’Agata, amatissima patrona della città, ma poi il pubblico arriva e la serata va molto bene. Dopo il concerto viene nel back-stage una giornalista di una radio di Pisa che si definisce una radio “cristiana”. Mi dice che vorrebbero passare la mia musica. Le chiedo stupito se ha ascoltato attentamente le parole.

Dopo il concerto a zonzo per il centro e per la Festa di Sant’Agata con delle ottime “guide” locali. La parte più divertente è quando a fine serata cercano di riaccompagnarmi all’ostello in cui dormo che è nella zona dei festeggiamenti, quindi chiusa al traffico. Dopo aver vagato in auto per mezz’ora alla fine si trova la strada. La mia stanza è molto umida. Sistemo una doppia coperta sul letto e mi addormento come un bambino. A un orario indefinito vengo svegliato dagli annunciati fuochi d’artificio, che vanno avanti per una buona decina di minuti di inquietanti deflagrazioni. Al mattino viene giù un muro d’acqua. Aspetto che spiova poi esco. Dai balconi delle case si affacciano le insegne in onore della Santa: panni vermigli con una A dorata al centro oppure la scritta luminosa VIVA SANT’AGATA. Ancora una volta sono i colori a colpirmi: nella piazza del Duomo le insegne cremisi si stagliano sulle facciate scure dei palazzi e fanno contrasto con il cielo violaceo che copre la città. Passeggio mollemente, bevo qualche caffè e aspetto che arrivi l’ora per prendere il bus per Palermo.

Arrivo a Palermo sotto una pioggia battente. Viaggio molto bello, tagliando tutta la parte centrale della Sicilia. Panorami verdissimi, qualche collina e rilievi più alti. L’organizzatore della data palermitana lavora alla campagna per le primarie di Rita Borsellino, e mi dice che prima di andare al locale faremo una breve deviazione verso un appuntamento elettorale. L’interno di un istituto cattolico. Vecchi e ragazzini. I vecchi seduti sulle sedie disposte lungo il perimetro dello stanzone fanno avanti e indietro verso i tavoli del buffet. Una signora con dei capelli color arancione svuota il contenuto di due piattini carichi di pizzette all’interno della sua borsetta. I ragazzini cantano al karaoke canzoni neomelodiche. Le ragazzine sono tirate a lucido, truccatissime, ma non possono nascondere di essere soltanto delle bambine. Reggono il microfono a turno e cantano abbracciate con lo sguardo rivolto alla parete dove il proiettore rimanda i testi delle canzoni. I ragazzi sono normali ragazzi di 15-16 anni: alcuni brufolosi, altri paffutelli. Ce ne sono un paio con delle creste punk ordinatissime e precisissime. Entrambi indossano una felpa con cappuccio di Topolino – mi sembra di capire che vada molto di moda da queste parti.

Nottata a zonzo per il centro storico in una sequela quasi infinita di assaggini di prelibatezze locali e cicchetti di gradazione sempre più alta a mano a mano che la notte avanza. Dormo a casa del promoter, dove arriviamo alle 4:30. Dormo fino alle due del pomeriggio in un comodissimo letto a una piazza e mezzo. Nella stanza c’è un pianoforte a muro. Il cielo è scuro, i colori talmente accesi che sembrano bucare la finestra e poggiarsi direttamente sul mio letto. Pomeriggio freddo e piovoso. Passeggio per la città. Alla cattedrale la tomba di Federico II è nascosta dietro una file di pannelli di legno e non capisco perché. Appena esco ricomincia a piovere e mi infilo in un bar, prendo un caffè americano e scrivo quanto sopra, aspettando che si faccia l’ora di andare al porto per prendere la nave per Napoli.

La vita del tour è fatta di attese. Aspetti che arrivi l’ora di partire, aspetti di arrivare, aspetti di fare il sound-check, aspetti di cenare, aspetti che sia ora di suonare… e il giorno dopo ricominci. Ho comprato delle compresse per il mal di mare sperando di non averne bisogno. Mi dimentico sempre di mettere in carica il cellulare.

Sono a bordo della m/n Nomentana della Tirrenia. Ceno al ristorante Nettuno – unico ospite della sala arredata in maniera decisamente deprimente. La mia presenza sembra quasi infastidire gli addetti, che già si pregustavano un’altra serata di non lavoro. Ma tant’è, tra il dubbio self-service di bordo e il tristerrimo Nettuno ho preferito quest’ultimo. Menù: sedani alla sicula (cioè alla Norma); merluzzo con olive e capperi; verdure al vapore; dolce e caffè. Il tutto a 25 euro. Fuori dal ristorante due strani personaggi chiedono alla capocameriera se è possibile dividere un menù in due. Lei non sa rispondere e chiama addirittura un ufficiale che si presenta poco dopo e spiega che non è possibile. I due se ne vanno.

Mentre attendo la mia cena alcuni addetti cominciano a mettere al sicuro piatti e bicchieri all’interno dei mobili: si attende mare forte, e io realizzo di non aver ancora preso la Xamamina. Mentre scrivo la nave inizia a rollare di brutto. Arriva la pasta. È buona, molto profumata e al dente. Al quarto boccone mi ritrovo in bocca un pezzo di vetro tagliente. Grazie a un incredibile colpo di culo non mi taglio. Chiamo la capocameriera e glielo faccio notare. Mi dice che non sa spiegarsi come sia potuto accadere. Mi chiede se deve portarmi un altro piatto di pasta. Le dico di no. Mi chiede se allora mi deve portare il secondo. Le dico che l’esperienza è stata sufficiente e che può portarmi direttamente il conto. Lei non fa una piega. Mi addebitano soltanto le bevande (una birra e un’acqua naturale, che mi porto in cabina). Pago, saluto ed esco. Fumo una sigaretta mentre le luci di Palermo si perdono all’orizzonte. È difficile restare in piedi, mi addosso a una parete e fumo in fretta, poi vado nella mia cabina. Resto sveglio fino alle 4.30, poi il sonno la stanchezza hanno la meglio sul mare agitatissimo e crollo.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...