Il mini tour svizzero dei Junkyards: il rumore dell’acqua nell’acqua

Biel/Bienne – 27/07/2012 – 01:33

Secondo giorno in Svizzera del minitour dei Junks. Scrivo da un favoloso appartamento ricavato da una torre seicentesca che affaccia sulla piazzetta nella quale abbiamo suonato qualche ora fa. A zonzo per la cittadina dopo il concerto mi sono imbattuto nella casa nella quale è morto J.J. Rousseau. Stupore e meraviglia. Poi mi torna in mente che era nato a Ginevra – e dunque era svizzero – e ogni cosa torna al suo posto. Biel è un luogo fuori dal tempo, con le sue casette, le sue piazze – è esattamente come uno si immagina la Svizzera tedesca. Abbiamo suonato al Cafè du Comerce, nel déhors, vale a dire una piccola piazzetta sospesa tra le case con i tetti a spiovente, con un albero maestoso su un lato e un bel palchetto di assi di legno piazzato davanti a una fontana di cui ancora adesso mentre scrivo sento il rumore dell’acqua che cade nell’acqua.

L’appartamento ha una grande cucina. Nel frigo vedo bottiglie di rosé – ne ho appena aperta una – una camera da letto enorme con 6 letti singoli – io ne ho presi 2, sono egocentrico… –enormi finestre con gli infissi in legno bianco e parquet dappertutto. Sono in cucina con i piedi appoggiati sulla mensola della finestra che dà sulla piazza. Il culo poggiato su una bella sedia di legno. Una eguale mi fa da ufficio, cioè sostiene (è appena entrato il cameriere del locale dove abbiamo cenato – che fa parte della stessa struttura – reggendo un piatto di non so cosa. Salut, mi dice, Salut, rispondo), sostiene, dicevo la bottiglia di rosé, il posacenere, il tabacco con cartine e filtri e il mio cellulare. Scrivo. Di quando in quando butto un occhio giù nella piazzetta per verificare che sia ancora lì – che sia vera. E lo è.

Il mattino arriva tambureggiando il suo richiamo attraverso le enormi finestre che fanno risplendere di luce le bianche pareti della stanza in cui dormiamo. Il solito lavorio del mattino – docce, caffè, sigarette, commenti sulla sera prima (questo gli altri, io perlopiù taccio finché non ho bevuto tre caffè e fumato altrettante sigarette. Fatto questo, son finalmente pronto per stare in silenzio per un altro po’). I tre caffè come da regolamento li ho bevuti nella piazzetta insieme a Settanni che poi si è eclissato per andare a prepararsi. Io son rimasto lì ancora un po’, a rimirare il favoloso albero che campeggia su un lato e a scrutare i diversi tipi umani degli avventori. La cameriera che mi ha servito i caffè e il croissant quando è arrivato (“It’s gonna take fifteen minutes, they’re on their way” mi ha detto) aveva una strana timidezza negli occhi nonostante l’appariscente tatuaggio sul suo braccio sinistro, lasciato scoperto come l’altro da una canotta bianca.

 

Neuchatel – 27/07/12 – 13:29

Sdraiato su una piattaforma galleggiante sul lago di Neuchatel dopo una rinfrancante nuotata mentre Ferro alle mie spalle si produceva in una quasi infinita e fanciullesca sequela di tuffi carpiati, all’indietro e a bomba, io meditavo – come quasi sempre mi accade quando sono all’estero a suonare con i Junkyards – sul mistero dell’esistenza.

E pensavo questo. Che essa esistenza è una troia – credo che ne converrete con me. Con una mano dà e con l’altra toglie, costringendoti all’infinito altalenare tra desideri e rimpianti, tra gioie e dolori, tra ambizioni e frustrazioni, tra botte di felicità e abissi di sconforto, trascinandoti nel breve volgere di qualche rapido istante dalle stelle alle stalle e lasciandoti talvolta con la chiara voglia – giusto per restare in tema – di mandare tutto in vacca.

Il cruccio che mi ha angustiato negli ultimi anni riguarda l’esistenza o meno della possibilità di una vita che permetta di godere delle brevi bellezze quotidiane, delle scarse e preziose meraviglie che la vita non smette mai di offrire. Ed è per questo motivo che il giorno prima mi ero spinto fino a un negozio del centro di Neuchatel per acquistare un costume da bagno. Poiché quando avevamo suonato in città l’anno precedente il clima era davvero rigido per essere luglio – le acque del lago si presentavano brumose e nebbiose come quelle del lago di Lecco in una qualsiasi domenica pomeriggio di novembre –, non avevo associato l’idea di “nuotata” all’idea di “lago di Neuchatel”, dunque non avevo messo il mio costume da bagno in valigia. Invece, con la giusta temperatura il parco sul lungolago si trasforma in una sequela senza soluzione di continuità di bagnanti che fanno la spola tra i loro asciugamani adagiati sull’impeccabile prato all’inglese e le tiepide e cristalline acque antistanti.

Indossato direttamente nel salottino di prova il costume ahimè piuttosto bruttino come taglio ma l’unico modello monocolore disponibile nel negozio, mi ero indirizzato a grandi passi verso il lago. Lì, giunto sulla spiaggetta di ciottoli bianchi, ero entrato in acqua muovendomi con cautela (leggasi: goffamente) sul fondale sassoso. E poi mi ero tuffato. E avevo nuotato fino alla boa, e poi ero tornato indietro. E poi l’avevo fatto di nuovo. Dopo ancora mi ero disteso con la schiena direttamente sulle bianche pietre (avevo considerato eccessivo l’acquisto anche di un telo da bagno) ed ero rimasto lì a godermi il calore che arrivava da sopra e da sotto. E mentre mi godevo il disco solare che bucava le palpebre e si stampava nelle mie pupille pensavo che quello era proprio uno di quei piaceri semplici della vita e che l’unico sforzo che avevo dovuto affrontare per goderne era stato quello di acquistare un costume da bagno (bruttino).

Prima di tutto ciò, la sera prima avevamo suonato la nostra prima data nello spazio estivo del Bar King – l’anno precedente avevamo suonato indoor, nella location invernale, a causa della pioggia e del freddo. Lo spazio estivo è direttamente sul bordo lago ed è diviso da una marea di tavolini da uno spazio di una decina di metri. Ci avevamo messo 6 ore ad arrivare – a causa di una coda interminabile all’imbocco del traforo del Gottardo –, così giunti sul posto ci hanno costretto a cenare direttamente e poi fare il sound check e il concerto. Dunque, dopo neanche un’ora e mezza che eravamo lì siamo stati catapultati sul palco a fare la nostra cosa – non che ci sia venuta particolarmente male, è solo che non abbiamo avuto la possibilità di tirare il fiato un attimo (scarico strumentazione, cena frettolosa, sound check, giusto il tempo di cambiarsi e via sul palco). Dopo il concerto, una sequela pressoché infinita di discorsi e birrette e confronti tra di noi e birrette e via così fino alle 4 del mattino, quando anche i più valorosi dei junkyards hanno preso la via del letto nel bell’appartamento che ci hanno messo a disposizione. Nell’appartamento c’era un pianoforte e io incurante dell’ora tarda ho suonato finché non mi hanno letteralmente sradicato dallo sgabello – sono i rischi del mestiere.

Il giorno dopo, prima di comprare il costume da bagno passeggiavamo mollemente sul lungolago dopo un più che soddisfacente pranzo a base di tabulé avec poulet – Soffientini ahilui aveva scelto un hamburger. Passeggiavamo nel parco sul lungolago con l’unico obiettivo dichiarato di trovare un albero dalla chioma sufficientemente frondosa da accogliere 4 junks che volevano farsi una pennica quando siamo passati davanti a una sorta di baretto che sembrava uscito da un video di tom waits. Un accrocchio di due roulotte costituiva il fabbricato: la prima roulotte ospitava una mini-cucina nella quale preparavano crepes e altri mini-manicaretti, mentre l’altra roulotte appositamente adattata ospitava – meraviglia delle meraviglie – un palco con tanto di batteria e amplificatori. Una lavagnetta piazzata al centro della stradina di asfalto annunciava un concerto per il sabato. Non ci ho pensato neanche un attimo: mi sono consultato brevemente con i miei soci e avendo ottenuto riscontro positivo mi sono diretto verso la cassa – quello è il posto in cui si prendono le decisioni importanti in ogni locale degno di questo nome. “Avec qui est-ce qu’on doit parler pour jouer ici?” (Con chi bisogna parlare per suonare qui?) ho chiesto, con fare deciso. Dopo neanche dieci minuti avevamo un deal e una terza data in svizzera. Orgoglioso come Cederna in Marrakech Express quando comunica ai soci che il famoso tubo con dentro i soldi se lo giocheranno a calcio – “Italia – Marocco” – ho annunciato ai Junks che l’indomani avremmo fatto un doppio set al Coin Coin/Kiosk Art, uno alle 17.00 e uno alle 19.00. Scene di quasi tripudio collettivo – avevamo una scusa per farci un giorno in più in giro (a una certa età non si chiede altro……).

“Izzio, stasera quando abbiamo suonato [omissis] ho pianto. C’era il sole che tramontava sul lago, io ho rivisto nella mente alcune immagini della mia vita. Ero qui a piedi nudi sulle assi di legno del palco e stavo suonando con voi. Mi son detto, cazzo, la vita è meravigliosa”.

Questo è quanto mi ha detto uno dei miei tre soci Junks dopo il secondo set dell’ultimo live a Neuchatel – ometto il nome e i particolari per tutelare la nostra sacrosanta privacy (scusatemi, ma questa è roba nostra). In definitiva, questo è quello che facciamo. Ci si mette in macchina, si viaggia, si smontano e si rimontano palchi, si scrivono canzoni e si buttano via e si riscrivono fin quando non sono esattamente quello che devono essere nella tua testa – tutto questo affinché la vita si possa svelare in tutto il suo meraviglioso splendore per qualche brevissimo istante. Quindi la prossima volta che parlerete con un musicista o con un artista in generale, dopo che lui vi avrà raccontato con immaginifica dovizia di particolari tutti i lati negativi del mestiere, non chiedetegli: “Perché lo fai?”. Lo facciamo per questo. Solo per questo.

Un pensiero su “Il mini tour svizzero dei Junkyards: il rumore dell’acqua nell’acqua

  1. Caro Fabrizio, che piacere leggerti…ed anche ascoltarti, a volte 🙂 :-).
    Mi ricordo di un giro in montagna intorno al Monviso. Cinque giorni passati intorno al Re Pietra in pieno luglio. Cinque giorni di merda, tra pioggia, neve, vento…e nuvole impenetrabili, che nascondevano il gigante di roccia alla mia vista. Una sfiga indicibile, che unita alla fatica mi faceva pensare che la vita è proprio una troia, a volte.
    Poi, una mattina presto, dopo una notte quasi insonne, esco dal rifugio di turno, alzo lo sguardo e lo vedo, in tutta la sua magnificenza. E’ bastato quell’attimo a dare un senso a tutto, e pensare che si, a volte la vita è proprio meravigliosa.
    Un abbraccio, Fabrizio.

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