GUIGNOL: PORTEREMO GLI STESSI PANNI

L’altra sera allo Spazio Ligera ho assistito alla prima del nuovo tour dei Guignol dell’amico Pier Adduce. Uno spettacolo maturo, denso, ruvido, ricco di riferimenti, da Bianciardi a Rocco Scotellaro. Il suono si fa per una volta più acustico, meno irruente, più calcolato e avvolgente, ma è solo un trucco per accompagnare noi spettatori in luoghi che non frequentiamo spesso.
L’età, si sa, porta a fare riflessioni su se stessi, sull’assurdità dell’esistenza e sullo stesso sangue che ci portiamo nelle vene. Il sangue che ci accomuna tutti ma che viene usato come strumento di divisione — razziale, politica, generazionale, economica. E di questo Porteremo gli stessi panni, ciò che mi è rimasto alla fine della serata, è un senso di spaesamento, allo stesso tempo di appartenenza e di lontananza. Sono io mio padre? Sì, e no. Sono io su quella bagnarola nel mezzo del Mediterraneo? Sì, e no. Sono io l’impiccato che pende dall’albero? Sì, e no. Sono io la vittima sacrificale? Sì, e no. Sono io il carnefice di me stesso? Sì e no.

Ora, alla fin della fiera si tratta di capire come si vuole vivere la propria vita. Far finta di niente. Scivolare sul quotidiano. Farsi intrappolare dall’ineluttabile. Dimenticare le proprie ossa. Scordare i visi di chi ci ha messo al mondo, e degli altri prima di loro e degli altri ancora. Rinunciare a guardare il cielo. Rinunciare a guardare il mare. Rinunciare a guardare dentro noi stessi. Va tutto bene. Va tutto bene. Va tutto bene.

Oppure si può – sì, è possibile – abbracciare la propria umanità. Stringerla, coccolarla, venerarla. Farsene carico. Perché facendoci carico di noi stessi ci facciamo carico anche degli altri. È l’unico modo. E allora, solo allora puoi parlare di sangue, di radici, di terra, avendone il diritto. Perché la terra è una. Ed è di tutti.
Adduce mi ha preso per mano senza neanche sfiorarmi, l’altra sera. E mi ha ricordato chi sono. Chi vorrei essere. Chi avrei voluto essere. Mi ha sussurrato in un orecchio che siamo ancora in tempo. E io ci voglio proprio credere.

Se volete, il disco si ascolta qui

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